XXX Rapporto Immigrazione Caritas-Migrantes: dai “grandi numeri” a chi scivola nel “cono d’ombra”

E' stata presentata mercoledì 24 novembre a Torino la trentesima edizione del RICM2021

La pandemia da Sars-Cov-19 ha prodotto una serie di effetti negativi in ampi ambiti della vita individuale e collettiva della popolazione mondiale. Nell’edizione che celebra i 30 anni della pubblicazione del Rapporto Immigrazione redatto da Caritas Italiana e Fondazione Migrantes si analizza anche l’impatto che il virus e le misure adottate per il suo contenimento e per la ripresa delle attività economico-sociali hanno avuto sulle vite dei cittadini stranieri che vivono in Italia, in riferimento a importanti indicatori quali, fra gli altri, le tendenze demografiche e i movimenti migratori, la tenuta occupazionale, i percorsi scolastici dei minori e la tutela della salute. Presi in esame anche anche altri aspetti sociali, forse “meno eclatanti”, come sottolineano Caritas Italiana e Fondazione Migrantes, ma che hanno subito “contraccolpi altrettanto gravi, come la sfera religiosa ed emotiva individuale, lo scivolamento nel cono d’ombra di migliaia di persone che le misure di lockdown hanno reso più invisibili (ad esempio, le vittime di violenza e di sfruttamento), senza che questo silenzio fosse dissolto dall’interesse dei media”.

Qui puoi scaricare la sintesi del Rapporto Immigrazione Caritas e Migrantes 2021.

SERGIO DURANDO, DIRETTORE DELLA PASTORALE MIGRANTI DI TORINO: 

“Il drammatico calo di almeno 150.000 persone straniere significa che l’Italia non ha più capacità attrattive e questo mi preoccupa”: lo ha detto mons. Gian Carlo Perego, arcivescovo di Ferrara-Comacchio e presidente della Fondazione Migrantes, durante la presentazione del Rapporto Immigrazione di Caritas e Migrantes. “Il Rapporto vuole essere una forte provocazione alla razionalità – ha precisato – per leggere l’immigrazione a partire da questi 5 milioni di persone che vivono in Italia. Speriamo che questo studio aiuti profondamente la nostra società e classe politica a partire dai dati e dalle situazioni, perché il nostro Paese possa andare avanti e non tornare indietro, visto che siamo il Paese più anziano e manca manodopera”.

GUARDA LA DIRETTA DELLA PRESENTAZIONE A TORINO:

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L’emergenza sanitaria ha per certi versi soppiantato le «emergenze» riconducibili alla mobilità: «emergenza sbarchi», «emergenza Lampedusa», «emergenza umanitaria»; ma ha anche nuovamente risucchiato i migrati entro questa cornice, collegandoli all’aumentato rischio di diffusione del contagio e presentandoli come possibili “untori” – ha detto durante la presentazione Simone M. Varisco, storico e curatore del Rapporto Immigrazione per la Fondazione Migrantes. Nella narrazione mediatica dell’immigrazione straniera in Italia la persona migrante vive in realtà una peculiare condizione di presenza-assenza. Presenza, per il perdurante protagonismo mediatico; assenza per tutti i limiti di approccio e di contenuto che caratterizzano l’attuale e principale corrente in campo comunicativo e per la scarsa considerazione positiva di cui gode il tema presso gli italiani. L’immigrato diventa degno di notizia solo quando accade un fatto specifico, per lo più violento o di sopraffazione; mentre ha avuto e ha pochissimo spazio se si parla dell’impatto del Covid-19 sulla vita. La sua descrizione si sbilancia più verso le categorie professionali con le quali l’immigrato viene identificato: ovvero, il bracciante agricolo, il badante o il rider. Categorie di cui, tra l’altro, dall’inizio della pandemia si è avuto sempre più bisogno, ma non certo le uniche in cui gli immigrati rappresentano forza lavoro nei settori produttivi interni. Quando, poi, si e parlato di immigrazione e pandemia si è più che altro collegato ciò alla diffusione del coronavirus: sia per gli sbarchi di migranti che non hanno mai smesso di approdare sulle nostre coste, sia come possibile veicolo di “varianti” provenienti dai loro Paesi di origine. Nell’ambito della crisi sanitaria, mentre gli operatori dei media hanno tenuto alta l’attenzione sulle difficoltà e sulle sofferenze degli italiani, dall’altra parte hanno in generale preferito non addentrarsi in quelle dei non autoctoni: come se parlare anche delle problematiche dello straniero legate alla pandemia potesse togliere qualcosa ai cittadini italiani o urtarne la sensibilità. Questa sorta di timore nel documentare l’immigrazione ha reso la narrazione che i media italiani ne fanno ancora meno esaustiva di quanto non lo fosse prima della pandemia e, se possibile, più stereotipata. Come è stato evidenziato dall’Associazione Carta di Roma «in generale la narrazione sulle migrazioni è crollata perché è arrivato un altro nemico». 

SIMONE VARISCO, CURATORE DEL RAPPORTO IMMIGRAZIONE CARITAS E MIGRANTES: 

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